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(DF) PENSIONE DI REVERSIBILITA’: CRITERI DI RIPARTIZIONE TRA CONIUGE SUPERSTITE E DIVORZIATO (Cass., 23.04.2008 n. 10575)

La Suprema Corte, con la sentenza n. 10575/2008, è stata chiamata a pronunciarsi in ordine alla ripartizione del trattamento di reversibilità in caso di concorso tra coniuge superstite e coniuge divorziato, entrambi dotati dei presupposti per beneficiare dello stesso.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale più consolidato, al quale si attiene anche la pronuncia in esame, avvalersi esclusivamente del criterio della durata dei rispettivi matrimoni non è esaustivo e dirimente. Occorre infatti ponderare ulteriori aspetti, correlati al fine di solidarietà che presiede al trattamento di reversibilità. Gli elementi – che fungono da correttivi del criterio temporale e sono individuabili nell'ambito dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970 - sono volti a bilanciare due contrapposte esigenze: da un lato, evitare che il primo coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento delle condizioni che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l'assegno di divorzio; dall’altro, che il secondo sia privato di quanto necessario per la conservazione del tenore di vita che il "de cuius" gli aveva assicurato in vita. Soccorrono in tal senso parametri quali l'entità dell'assegno di divorzio riconosciuto all'ex coniuge e le condizioni economiche dei due, nonché la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali.
L'applicazione del criterio temporale non può allora valere come criterio esclusivo, occorrendo che la sua portata sia ridimensionata ed integrata alla luce di ulteriori fattori, non necessariamente valutati in eguale misura, rientrando nell'ambito del prudente apprezzamento del giudice appurare la loro rilevanza in concreto. Queste conclusioni non possono però portare a trascurare del tutto l’utilità del dato della durata dei matrimoni, che resta comunque il principale dei criteri di partizione del rateo pensionistico.
Quanto al concetto di “durata del rapporto”, la formula, attenendosi a quanto affermato in più occasioni dal giudice di legittimità, va riferita alla durata legale dei rispettivi matrimoni. Ciò significa, quanto al coniuge divorziato, che occorre considerare il tempo maturato fino alla sentenza di divorzio. Il criterio temporale previsto dall'art. 9, comma 3, prescinde quindi dalla reale durata del rapporto affettivo, inteso come consorzio di vita tra i coniugi e cioè quale rapporto di reale ed effettiva comunione spirituale e materiale. A tale riguardo, va precisato che la eventuale convivenza con un altro compagno nel periodo della separazione non incide nella valutazione della durata dei rapporti matrimoniali, potendo al più rilevare sul parametro della situazione economica per i riflessi che vi esplica.
SG
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